Orientamento sessuale e identità di genere - Cristiana Prada

Orientamento sessuale e identità di genere, sono la stessa cosa?

Sono tante le definizioni nuove e del tutto sconosciute che ogni giorno capita sempre più di frequente di sentire: orientamento sessuale, identità di genere, ruoli di genere, espressione di genere, ecc. Proprio perché la società è in continua espansione e i tempi cambiano e sono più veloci che mai, è opportuno stare al passo cercando di non confonderci tra tutte queste nuove etichette che stanno aiutando a ridefinire confini, ruoli e identità.

  • Che cos’è l’orientamento sessuale?
  • Coming out e outing: facciamo un po’ di chiarezza
  • Disforia ed euforia di genere: qual è la differenza?
  • Che cosa si intende per espressione di genere?

Che cos’è l’orientamento sessuale?

Questa terminologia è utilizzata per descrivere l’attrazione romantica e/o sessuale di una determinata persona nei confronti di individui di sesso diverso (eterosessualità), dello stesso sesso (omosessualità) o di entrambi (bisessualità). Tale definizione è importante per evidenziare la differenza esistente fra sesso biologico, identità di genere e ruolo di genere.

Per scendere più nello specifico, il sesso biologico si riferisce al sesso genetico (o di nascita) di una data persona, che è determinato dai cromosomi sessuali. Differentemente, l’identità di genere fa riferimento al genere di appartenenza della persona presa in esamina (ovvero se quest’ultima percepisce sé stessa come maschio, come femmina o come altro). Il ruolo di genere, invece, ha come oggetto tutte quelle norme sociali inerenti al comportamento di uomini e donne relativo e precipuo ad un dato periodo storico.

In aggiunta ai tre orientamenti sessuali visti poc’anzi, stando a determinate formulazioni storiche, se ne aggiungono altri:

  • l’asessualità (vale a dire la scarsa o nulla attrazione sessuale verso persone dello stesso sesso o del sesso opposto; considerata, in taluni casi, anche come l’assenza di un orientamento sessuale);
  • la pansessualità (un orientamento sessuale particolare, che spesso viene confuso erroneamente con la bisessualità e che si caratterizza per una potenziale attrazione estetica, romantica o sessuale verso una persona indipendentemente dal suo sesso biologico o dalla sua identità di genere);
  • la demisessualità (caratterizzato per il provare attrazione sessuale nei confronti di una determinata persona solo e soltanto dopo averci instaurato anche un legame di tipo affettivo/romantico)

Il discorso sarebbe ancora lungo ed articolato, dato che nel corso degli anni sono stati portati alla luce altri orientamenti sessuali fino ad un tempo sconosciuti. Inoltre, è opportuno specificare che l’orientamento sessuale e l’orientamento romantico non sempre coincidono nell’individuo. Proprio perché la sessualità è unica per ogni persona e che questa la vive secondo i propri dettami e regole, è opportuno differenziare le due cose, ossia: l’attrazione sessuale e l’attrazione romantica. È possibile, per esempio, sentirsi attratti sessualmente da persone del sesso opposto, ma romanticamente da persone del medesimo sesso o il contrario (o addirittura, non provare alcuna attrazione romantica, aromanticismo).

Ognuna di queste tipologie di attrazione sessuale e romantica rappresenta una forma normale e del tutto legittima con cui un essere umano intreccia ed instaura legami affettivi o sessuali, a discapito di tanti di quegli stereotipi ancora oggi diffusi secondo i quali le persone con un orientamento diverso da quello eterosessuale sarebbero “disturbate” o “anormali” (in questo caso si parla di omofobia).

Gli studi e le ricerche condotti in questo campo hanno infatti evidenziato che non esiste alcuna correlazione tra l’orientamento omosessuale e bisessuale (o gli altri sopraelencati) e la psicopatologia. Pertanto, la definizione dell’omosessualità quale “disordine mentale” è caduta in disuso ed è stata ormai abbandonata da tempo, con conseguente rimozione dal DMS V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali).

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Coming out ed outing: facciamo un po’ di chiarezza

La traduzione del primo termine è letteralmente “uscire fuori”, e fa riferimento al dichiararsi o al rendersi visibile agli altri. Si dice che una persona faccia coming out quando decide consapevolmente di rendere noto il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere. Può essere altresì inteso come percorso di presa di coscienza di sé.

Tuttavia, spesso per parlare di coming out ci si riferisce usando erroneamente il termine outing. Quest’ultima terminologia, invece (e per quanto possa suonare simile alla prima), si riferisce al rendere noto l’orientamento sessuale (o l’identità di genere) di una persona senza il suo consenso o senza rispettare la sua decisione di volerlo tenere segreto.

Il coming out può avvenire in famiglia, oppure con i propri amici e colleghi. Ciononostante, alcune persone scelgono consapevolmente di fare coming out soltanto con alcune cerchie ristrette e non con tutti, mentre altre optano per non renderlo noto a nessuno. Ogni persona vive la propria esperienza di coming out secondo il proprio volere ed il proprio sentire: non ci sono regole da rispettare, o prescrizioni a cui attenersi.

Ho avuto in seduta da me Giovanni, un ragazzo gay, che per colpa di alcune persone a scuola ha vissuto una vera e propria forma di persecuzione per il suo orientamento sessuale. Pur decidendo di non rivelarlo a nessuno, era saltato fuori comunque causandogli diversi problemi di bullismo. Il tutto lo aveva condotto ad una situazione esasperata di ansia sociale, stress e depressione, scatenate dalla derisione a cui era stato sottoposto dai compagni di scuola.

Per le persone facenti parte della comunità LGBT+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, ecc.) non è affatto semplice decidere se e quando fare coming out. È un passo importante che non sempre viene capito o accettato dalle persone coinvolte. Non sono rari i casi anche di allontanamento forzato dal nucleo familiare dopo un episodio di coming out.

Disforia ed euforia di genere: qual è la differenza?

Chiamata anche incongruenza di genere, la disforia di genere, è il malessere riscontrato dall’individuo che non sente di appartenere al proprio sesso biologico assegnatogli alla nascita. Le persone che soffrono di incongruenza di genere si identificano come transgender e sperimentano angoscia, ansia sociale e spesso depressione.

Come abbiamo potuto già osservare in precedenza, l’identità di genere viaggia su binari completamente diversi rispetto a quelli dell’orientamento sessuale. Infatti, mentre nel primo caso ci troviamo davanti ad una questione che riguarda noi stessi e la nostra identità (appunto); nel secondo caso si tratta semplicemente di “chi ci piace”. Le due cose, perciò, non andrebbero mai confuse.

Non a caso, gli uomini e le donne transgender (un termine che va preferito rispetto al desueto ed offensivo transessuale) possono avere qualsiasi orientamento sessuale e romantico. Si dice, invece, cisgender l’individuo che si riconosce nel proprio sesso biologico e di nascita. Quest’ultimo sperimenta quella che viene chiamata euforia di genere: la gioia dell’appartenere ad un genere specifico.

L’euforia di genere è l’obiettivo a cui mirano anche le persone transgender, che spesso optano per intraprendere un percorso di supporto psicologico e scelgono di sottoporsi ad interventi chirurgici per quella che viene chiamata riassegnazione di genere. Tale percorso include il sostegno all’espressione e al ruolo di genere dell’individuo, e può prevedere (in alcuni casi ma non in tutti, infatti non è obbligatorio) il desiderio del paziente di cominciare una terapia ormonale e una o più operazioni chirurgiche.

Mi è capitato di fare consulenza e psicoterapia ad una ragazza transgender, Erika, che aveva accusato, già durante la sua preadolescenza, di soffrire di disforia di genere. Rifiutava il suo corpo maschile e questo suo rigetto per delle fattezze che non riconosceva come proprie l’aveva portata persino ad episodi di autolesionismo. Inoltre, soffriva per il suo dead name (letteralmente “nome morto”), il nome di battesimo maschile con cui tutti ancora la chiamavano, con il quale non si riconosceva e che aggravava ancora di più il suo senso di malessere.

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Cosa si intende per espressione di genere?

È l’insieme di comportamenti, apparenze, movenze, abbigliamento ed interessi di una persona che viene associato al genere in un particolare contesto sociale e culturale, e a cui ci si riferisce con i termini di mascolinità e femminilità. Tuttavia, queste categorie si basano su degli stereotipi di genere, in cui spesso sono inclusi anche i già citati ruoli di genere.

Solitamente, l’espressione di genere riflette l’identità di genere di un individuo ma non è sempre così. L’espressione di genere non ha nulla a che vedere né con l’orientamento sessuale, né con l’identità di genere, né tantomeno con il sesso biologico.

Ad esempio, è possibile per una ragazza eterosessuale e cisgender preferire un abbigliamento tipicamente maschile, magari costituito da t-shirt e camicie invece di uno femminile. Ciò non intacca né il suo orientamento sessuale né la sua identità di genere. La sua scelta di indossare abiti maschili riflette solamente una preferenza personale che rientra sotto l’espressione di genere e che è del tutto slegata ed indipendente da altri fattori.

Qualora anche tu sentissi il bisogno di affrontare insieme ad un professionista questa problematica o altre di varia natura non esitare a contattarmi o a raggiungermi in sede per un primo colloquio conoscitivo totalmente gratuito e senza impegno.

Dott. Cristiana Prada, Psicoterapeuta e Sessuologa

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