Avarizia patologica - Cristiana Prada

Avarizia Patologica: come uscire dal quarto girone dantesco

L’avaro non è una persona cattiva. Si tratta semplicemente un individuo iper-controllante e di solito è anche una persona machiavellica, sospettosa e, in fin dei conti, parecchio ansiosa. La sua più grande paura, che non riesce in alcun modo a controllare, è quella di dare e di conseguenza di perdere tutto ciò che ha. Soffre incoscientemente la grande paura di essere abbandonato o dimenticato nel caso in cui si lasciasse andare liberandosi dei propri affetti materiali.

  • Avarizia ed avidità, c’è differenza?
  • Avari si nasce o si diventa?
  • Il denaro come identità
  • Avarizia sentimentale e sessuale

Avarizia ed avidità, c’è differenza?

Non si tratta di sinonimi, come erroneamente così vengono considerati; infatti, queste due attitudini possono avere delle linee in comune. Per avarizia s’intende l’attaccamento patologico al denaro che viene messo da parte per soddisfare la felicità data dall’accumulo, ma non ha a che vedere soltanto con i soldi. L’avarizia è l’attitudine di un individuo a conservare ciò che già possiede; l’avidità è l’attitudine ad aumentare quello ciò che si possiede.

Specifichiamo che avere la ferrea volontà di tenersi strette le proprie cose o avere il desiderio, più o meno marcato, di allungare le mani su qualcos’altro sono comportamenti che rientrano perfettamente nella norma. Si può parlare di patologia quando il soggetto non è più in grado di stabilire se ne vale ancora la pena oppure no proseguire per determinate direzioni. Ad esempio, vale la pena passare tutto l’inverno con influenza e raffreddore solamente per risparmiare cinquanta euro in più sul riscaldamento?

Da comportamento patologico ad ossessione vera e propria il passo è breve. L’avarizia rappresenta una prerogativa totalizzante che, si suppone, possa inserirsi anche in ogni declinazione dell’esistenza. L’avaro, così come ci insegna Molière, è un individuo che, per definizione, trattiene tutto e non da nulla anche in riferimento ai sentimenti. Spesso accade che l’avarizia conduca all’invidia: si desidera avere tutto per sé e si sviluppa un pensiero ossessivo a ciò che potrebbero avere gli altri.

L’invidia costringe ad escogitare modi sempre nuovi ed innovativi per sottrarre qualcosa a qualcun altro. Non importa se quell’oggetto non rappresenta un reale bisogno o se potrebbe essere tranquillamente considerato superfluo possederlo: ciò che è più importante è portarlo via a qualcun altro, soltanto in tale maniera può concretizzarsi la soddisfazione.

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Avari si nasce o si diventa?

Secondo la psicanalisi la causa dell’avarizia è da ricercare nella fase di sviluppo anale caratteristica dell’infanzia, quella durante la quale il bambino inizia ad usare il vasino. Questa teoria trova riscontri attendibili poiché, molto spesso, l’avaro soffre di stipsi. Per Freud, lo sviluppo del bambino è suddiviso in più fasi: la fase orale, la fase anale e la fase genitale. Durante la fase orale il bambino comincia ad approcciarsi con il mondo esterno attraverso la bocca. Inoltre, essendo caratterizzata da un atteggiamento egocentrico, questa prima fase rappresenta il piacere.

Nella fase anale il bambino inizia ad uscire dal proprio egocentrismo ed impara a gestire il proprio corpo, a cominciare dagli sfinteri. Questa è la fase in cui inizia ad usarli per far contenta o meno la madre, che è per lui fonte d’amore, ma anche di sofferenza quando si sente abbandonato. Al termine di questa fase passerà per quella genitale che lo condurrà all’organizzazione della propria personalità adulta, passando attraverso il complesso d’Edipo.

Per il padre della psicanalisi, è proprio durante la fase anale che il bambino apprenderebbe questo comportamento, iniziando a capire che trattenere o rilasciare le proprie feci gli conferisce un certo potere affettivo nei confronti di “quell’oggetto” d’amore onnipotente che è rappresentato dalla madre. Nel caso in cui il bambino abbia una madre anaffettiva, poco presente o controllante, inizierebbe ad abusare di questo potere che in principio non sapeva di possedere.

Una volta divenuto adulto finirebbe per replicare all’infinito questo atteggiamento comportamentale appreso in tenera età, diventando un avaro patologico. Si definisce avaro anche chi non riesce ad avere o a mantenere una relazione stabile per la paura di dover condividere il proprio tempo, i propri spazi, ed infine, anche i propri averi con un’altra persona. Tuttavia, è possibile diventare avari anche per imitazione o, al contrario, per reazione ad un mito familiare.

Il “mito” altro non è che una regola implicita o esposta di una determinata famiglia. Ad esempio, un mito familiare potrebbe essere: non spendere mai i propri soldi. I figli potrebbero o fare proprio il “mito” familiare apprendendolo per imitazione; oppure, al rovescio della medaglia (regola onnipresente in psicologia), ribaltare completamente la regola familiare implicita e diventare dei veri e propri “spendaccioni” soltanto per reazione ad un comportamento che aveva causato in loro una profonda infelicità.

Il denaro come identità

Il taccagno non è altro che un bambino cresciuto che cerca di attirare le attenzioni di una madre abbandonica o anaffettiva attraverso le cose che possiede: da infante le feci, da adulto i soldi. Difatti egli vive male, ma vivrebbe ancora peggio se si permettesse di cambiare e di condividere perché finirebbe per perdere il controllo che possiede sugli altri, vigilando sui propri averi materiali che per lui hanno un significato affettivo.

Il denaro diventa identità. Difatti, la base dell’avarizia è un problema d’identità. La persona avara è bloccata, ha paura di spendere: si sente inferiore quando incontra qualcuno di più ricco e si sente altrettanto inferiore quando il suo denaro diminuisce, perché il denaro rappresenta la sua identità. Il denaro è, per queste persone, una metafora d’amore: generalmente, infatti, quando regaliamo del denaro a qualcuno è perché gli vogliamo bene. Chi non ha ricevuto abbastanza amore, invece, rischia costantemente di non avere mai abbastanza denaro.

Il denaro è uno strumento che funge da balsamo per diminuire l’angoscia. L’avaro, inoltre, spesso non si sente amato dagli altri e questo sentimento non fa che innescare un altro meccanismo: “se non sono amato, nessuno mi darà aiuto”. Spesso l’avarizia si palesa sotto una forma ancor più sottile, micragnosa ed insulsa: quella che ha a che vedere con l’uso della parola. Un grazie in più o un piccolo complimento non costano nulla, eppure l’avaro vero ha paura di spendere anche ciò che non costa niente.

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Avarizia sentimentale e sessuale

Non dovrebbe sorprendere scoprire che chi è tirchio nella vita spesso lo è anche nei sentimenti, cercando di dare sempre il minimo ma pretendendo il massimo e mancando di empatia verso ciò che l’altro prova poiché troppo impegnato a difendere il proprio territorio, ciò che è suo. Si ha una specie di alessitimia, ovvero un’assenza di emozioni correlata da un’estrema difficoltà nel riconoscerle e percepirle. L’avaro prova un’enorme fatica a condividere ciò che sente dentro e ad investire su di un sentimento che potrebbe portare alla formazione di una coppia.

Ho avuto in cura da me un paziente, Roberto, che era affetto da avarizia patologica. Era un uomo isolato affettivamente, poiché fermamente deciso a voler dominare e gestire i propri affetti con la sua solita e rigida tirchieria con cui gestiva il suo denaro. Era solito risparmiare su tutto, persino sull’amore nonostante una compagna ce l’avesse. La sua partner, Ilaria, si sentiva permeata da sensazioni di frustrazione, amarezza, insicurezza e confusione in quanto l’avarizia di Roberto la faceva sentire soffocata come in un “cappio”, sottraendo alla loro relazione quegli slanci affettivi costituiti da sorprese, follie e quella “irrazionalità amorosa” tipica delle relazioni sentimentali.

Inoltre, il loro rapporto era caratterizzato anche da un’avarizia che definirei di tipo sessuale. Non è così insolito riscontrare questo comportamento in tale ambito, poiché il sesso non è altro che una tipologia di comunicazione preminente nella coppia ove le emozioni sono intense e portano a dare sé stessi all’altro attivando un grande coinvolgimento. Proprio perché Roberto non amava questo tipo di implicazione emotiva, Ilaria lamentava spesso apatia, freddezza, passività come se i sentimenti di lui risultassero “congelati” con avarizia di coccole, carezze e dimostrazioni affettuose.

Il più delle volte Roberto non era neanche consapevole o cosciente di star privando Ilaria di tutto ciò: non avvertiva quegli slanci emotivi e di conseguenza non considerava errato o scorretto il proprio comportamento. L’avarizia lo rendeva costantemente insoddisfatto e scontento. Roberto soffriva di disturbi psicosomatici e sessuali, poiché era solito tenersi tutto dentro. In aggiunta a questo aveva continui ripensamenti su qualsiasi cosa. Era una persona particolarmente ordinata, parsimoniosa ed ostinata con la quale, però, risultava parecchio difficile costruire e mantenere un rapporto sincero e duraturo.

Si considerava una persona dominante, seppur fosse pieno di paure ed ansie. Per questo motivo era minuzioso e a dir poco clinico nello scegliersi partner sottomesse e psicologicamente fragili e senza autostima, che poteva essere in grado di gestire e dominare esercitando l’aggressività. Per lui era importante che le sue compagne, Ilaria compresa, non avessero abbastanza forza per esigere ed evitassero di reagire al suo comportamento per il senso di colpa che lui era bravo ad instillare in loro. Utilizzava tutto e tutti, ed anche se a lungo andare questo comportamento avesse potuto danneggiarlo non se ne curava: fermamente convinto d’esser nel giusto, evitava di fidarsi di chiunque.

Qualora anche tu sentissi il bisogno di affrontare insieme ad un professionista questa problematica o altre di varia natura non esitare a contattarmi o a raggiungermi in sede per un primo colloquio conoscitivo totalmente gratuito e senza impegno.

Dott. Cristiana Prada, Psicoterapeuta e Sessuologa

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