La psicoterapia è per me un’arte, un’esperienza estetica, nel senso di sensibile, capace di sentire. Il discorso terapeutico è un discorso dei sensi. Il lavoro psicoterapeutico, al pari di quello artistico, si fonda su spinte soggettive, dove le ferite aperte dello psicoterapeuta hanno un continuo bisogno di essere alimentate e questa trasfusione di sangue può avvenire solo nel rapporto con i miei pazienti. Sostengo che l’esperienza della “caduta” sia fondamentale e strutturante nella nostra professione, e che non ci sia psicoterapeuta che non si sia arricchito nell’aver attraversato un momento di difficoltà.
La tecnica diventa quindi il frutto delle proprie ferite, dei propri traumi, è figlia di ogni incontro e di ogni condivisione dell’ altrui sofferenza. È una tecnica dinamica che cambia con noi, che è diversa con ogni paziente, che si trasforma a ogni seduta attimo dopo attimo. È proprio la nostra trasformazione che ci dà la misura del nostro effettivo potere curativo. La psiche, nel suo andare dalla depressione all’esaltazione, dalla gioia al dolore, dalla progressione alla regressione, può essere compresa e accolta solo da una psicoterapeuta aperta al mutamento, che fa della metamorfosi la sua unica regola.